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domenica 3 luglio 2016

TERESA MARGHERITA REDI DEL SACRO CUORE DI GESU' MONACA CARMELITANA SCALZA ( TERESIANA ) SANTA * 1747 + 1770 - PARTE OTTAVA .




Teresa Margherita Redi 
del Sacro Cuore di Gesù 
 Monaca Carmelitana Scalza 
 (Teresiana) 
 Santa 
*1747 +1770 

Una mattina dopo la metà di Agosto del 1764, una carrozza tutta bianca di polvere proveniente da Bibbiena, dopo alquanti chilometri di viaggio fra alternative di salita ripidissime e precipitose scese, giungeva ad un piccolo borgo di povere case detto la Beccia, dove allora si fermavano tutti i veicoli, tutti i mezzi di trasporto, che conducevano i visitatori alla Verna. 
Due persone di nostra conoscenza, il Cav. Ignazio Redi e sua figlia Anna Maria, scesi dalla carrozza e scambiate alcune parole col vetturino, intraprendevano la salita che conduce alla sommità di quel sacro monte, dove Francesco - come canta l’Alighieri - 
nel crudo sasso… 
da Cristo prese l’ultimo sigillo 
che le sua membra due anni portano. 
( Paradiso , Canto IX ). 
Quelle rupi inaccessibili, quei grandi macigni tutti d’un pezzo quelle folte selve di faggi e di abeti, e più quel silenzio non interrotto se non da lieve stormir delle foglie e dal canto degli augelli, fa gustare al visitatore un saggio di quella divina poesia, onde la vergine natura parlò sempre agli uomini parole soavi e rivelatrici. 
Anna Maria fissava quei massi, quelle incavature profonde, quegli annosi abeti, e ne provava un sentimento nuovo di gioia, perché tutto quivi portava scolpita l’orma di Dio; e quel silenzio e quella bellezza della solitaria natura le ricordava le ascose dolcezze del Carmelo. 
Salivano i due pellegrini per quella strada che si fa sempre più rapida di mano in mano che si avvicina al termine, ed il Cav. Ignazio da sì bello spettacolo non era meno rapito della figlia. Quand’ecco a destra una cappellina, che ricorda il luogo dove San Francesco, prima di salire il sacro monte, si fermò per riposarsi alquanto del lungo viaggio. Anna Maria ricordava con piacere al padre il fatto, quivi avvenuto, degli augelletti i quali, cantando e svolazzando, si posavano sul capo, sulle spalle e sulle braccia del Santo, e lo salutavano e festeggiavano ripetendo. << Ave, ave, ave! >>. Anche per lei quei trilli e quei gorgheggi di cui risuonava la folta selva, avevano voci vere e proprie, onde la sua anima rispondeva a quei cantici sì melodiosi; e dalla contemplazione delle vereconde bellezze della natura si levava su fino al Sole d’ogni bellezza e bontà. Per lei quel sacro monte era tutto una poesia che imbalsamava l’anima d’una spirituale fragranza e dolcezza. 
Eccoli alla porta del Santuario, sulla quale, scolpite in pietra, si leggono queste parole: 
<< Non est in toto sanctior orbe mons >> 
( Non v’è al mondo monte più santo di questo ). 
Infatti chi non ricorda il miracolo di carità che quivi trasformò il Serafino d’Assisi nella somiglianza del Crocifisso? E impossibile salire su quei macigni, su quelle rupi altissime, e non richiamare alla memoria quel giorno, quando 
Sul monte, con gli albori matutini 
D’Assisi orava il glorioso Santo; 
E acceso dell’ardor de’ Serafini, 
Eran sola preghiera estasi e pianto. 
Ed ecco a lui, pe’ cieli adamantini 
Segando lunga lista d’amaranto, 
Un Crocifisso scende e i suoi divini 
Segni gl’imprime lacrimati tanto. 
D’amor Francesco e di dolor languia 
Sotto il mistero, e da’ pie’ , da le mani 
E dal costato amore e sangue uscia. 
Il duro sasso in letto di viole 
Parea converso, mentre degli arcani 
Sacri nasceva testimonio il sole. 
( P. Manni. Le Stimate ). 
E tale certamente dovette essere il ricordo che allora s’affacciò alla mente della nostra fanciulla. Col cuore pieno di santo entusiasmo, entrò col padre in quel sacro recinto dove tutta parla di Dio e del Poverello d’Assisi. 
Davanti a loro era la Chiesina di Santa Maria degli Angeli; a sinistra il gran piazzale con la croce piantata nel mezzo; il pozzo dove i pellegrini attingono l’acqua; il sacro portico del tempio. L’anima di Anna Maria nuotava nell’estasi. Quanti ricordi, quali sentimenti per quel cuore così pieno di tenerezza! Entrati nel tempio, s’avvicinarono presso l’Altare Maggiore, e li stettero lungo tempo in fervorosa preghiera. Ascoltarono la Santa Messa e Anna Maria - così il Cavaliere suo padre - << si confessò e comunicò devotamente >>. 
Ciò che passasse in quel momento nell’anima della giovinetta, Dio solo lo sa. Quando sarà in Monastero, le religiose potranno rilevare dai suoi discorsi che in quel Santuario le era accaduto qualche cosa di particolare per ciò che riguarda lo spirito; << Cosa che da essa non poterono mai sapere - dicono le memorie del Monastero -, ma che forse era ben nota al Cavaliere suo padre, a cui si dimostrava sempre grata per averla condotta in quel Santuario >>. 
Le celestiali delizie di cui era inondata allora la sua anima, si dipinsero, per così dire, sul suo volto, sì da farlo assomigliare a quello di un Serafino. Genuflessa sulla nuda terra, si abbandonò nel Divin Cuore di Gesù, e durò immobile in quella posizione circa un’ora; ne si sarebbe levata da quei rapimenti, se il padre non l’avesse chiamata. 
Usciti che furono di Chiesa, un religioso li guidò alla foresteria e, dopo la loro colazione, si offrì di condurli alla visita di quei luoghi santi. Per un sentiero sull’orlo della rupe, dal quale si presenta allo sguardo, in tutta la sua bellezza, il panorama incantevole del Casentino, giunsero in breve alla cappella del Beato Giovanni della Verna. In quel luogo questo Servo Dio aveva vissuto per lo spazio di trent’anni fra le più aspre penitenze, ricreato dal Signore di tante celesti visioni ed estasi divine. 
Quindi ripresero la via e, sempre dietro al religioso che faceva loro da guida, giunsero alla << Prima cella di San Francesco >>, detta comunemente cappella della Maddalena, dove al Santo che stava in orazione presero una gran pietra che gli serviva da tavola per la refezione, era apparso il Signore. 
Visitata la prima cella di San Francesco, scesero a vedere il meraviglioso << sasso spicco >>, il luogo dove il Serafico Padre sentiva più viva la parola divina. In quella solitudine, fra quei macigni, fra quei sassi sporgenti, il suo orecchio interiore era meglio disposto ad avvertire i suoni che echeggiavano nella sua grande anima, perché chi vive di vita di spirito trova nella solitudine la sua atmosfera. 
Scesi giù in fondo, in mezzo ai macigni, i nostri pellegrini poterono scorgere quel gran lastrone che sporge molto in fuori e che è veramente la meraviglia del luogo. Infatti questo gran masso lungo tredici metri, largo quattro e alto circa undici, è staccato dal monte, e solo da una parte si vede internarsi appena, appena, nella terra. Poco distante dal sasso spicco è il precipizio, donde il demonio, comparendo a Francesco mentre faceva orazione, tentò di gettarlo dall’altezza di sessanta metri. Cadde il Santo e precipitò un bel pezzo; ma, invocato il Nome Santissimo di Dio, potè aggrapparsi a qualche ramoscello sporgente e si appoggiò alla rupe che cedè come cera. I nostri pellegrini ascesero per una scaletta artificiale, e poterono vedere l’impronta del corpo di San Francesco e baciare quella sacra rupe. 
Di qui salirono ad un’altra piccola cappella che ricorda il luogo da dove Fra Leone, compagno del Santo, vide le estasi e il mistero dell’impressione delle sacre Stimmate. Poi, dopo un breve giro, entrarono nella cappelleta della << Croce >>, la vera e propria cella di San Francesco. A sinistra di questa cappella è una porticina che, per una scaletta conduce nell’Oratorio di San Bonaventura, dove il Santo Dottore nel 1260 scrisse il suo << Itinerarium mentis in Deum >> cantico di sublime dottrina e d’ineffabile affetto, che addita agli uomini gli uomini la via diritta del cielo. 
Ed ecco finalmente i nostri pellegrini nella cappella delle sacre Stimmate. Qui la nostra giovinetta, come inondata di un’interna rugiada di soavissima devozione, si accostò a quel sasso su cui si operò lo stupendo miracolo e l’inaudito martirio della carità. Avendo vivo dinanzi agli occhi quel Mistico Serafino che stimmatizzò Francesco, baciò devotamente quella pietra; e, rievocando il gran mistero quivi compiuto, vagheggiò con ineffabile dolcezza il Poverello d’Assisi, quando, << sollevato e rapito da Dio per gli ardori dei suoi desideri, fu trasformato per la veemenza della compassione di Colui, che un eccesso di carità aveva condotto a sostenere i più crudeli supplizi >> 
( San Bonaventura: in legenda S. Francisci, cap. VIII ). 
Forse anche ai suoi occhi si presentò quella scena, nella quale << il Mistico Serafino, con sei ali risplendenti di luce e di fuoco, discendeva dall’alto dei cieli e sotto le sue ali appariva l’immagine di un Uomo Crocifisso, con le mani e con i piedi stesi e confitti in croce >>. 
( San Bonaventura: in legenda S. Francisci, cap. VIII ). 
Come Francesco, << conobbe allora il lume ascoso di quel mistero e comprese come l’amico di Cristo deve tutto intero trasformarsi nella somiglianza di Gesù Crocifisso, non già per il martirio della carne, ma per un fuoco tutto spirituale >>. 
( San Bonaventura: in legenda S. Francisci, cap. VIII ). 
Questo contemplò, questo intese nella sacra cappella Anna Maria. La scena dell’impressione delle Stimmate che ella si era rappresentata alla mente, la fece prorompere in lacrime; onde stabilì di abbracciare anch’essa, come Francesco, la croce del Salvatore; di non volere vivere senza di essa, quand’anche fosse la più pesante, la più ignominiosa; di volerla sempre portare, anche senza alcuna consolazione e senza alcun lamento. 
E chi sa quanto avrebbe durato in questi pensieri, se il religioso non l’avrebbe invitata a passare nella vicina grotta dov’è il letto di San Francesco, che consiste in una grossa lastra di pietra orizzontale misurante più della lunghezza di una persona. Fu l’ultimo luogo che visitarono: dopo pranzo, scesero nuovamente il monte, dove li attendeva la carrozza che doveva condurli a Bibbiena. 
Pur tra salite faticose e scese a precipizio, la carrozza correva: Anna Maria sembrava assorta col pensiero nelle paradisiache bellezze che aveva ammirato. Ogni tanto si voltava indietro, e lungi scorgeva la Verna con la massa cupa dei faggi e degli abeti, con i grandi macigni tutti d’un pezzo che, da lontano, sembravano l’ammasso delle rovine di un grosso fortilizio medioevale. A poco a poco tutto disparve e, dopo una lunga corsa, giunsero a Bibbiena dove erano attesi dalla famiglia di Mons. Vescovo Poltri, di cui il Cav. Ignazio era amico. Il giorno dopo, visitate le varie Chiese di quel paese, ripresero la via di Arezzo. 
Ma quanto rimase impresso quel pio pellegrinaggio nell’anima di Anna Maria! Le estasi, i rapimenti, gli amorosi colloqui che il Serafino d’Assisi ebbe su quel sacro monte, e più la dolcezza ineffabile che a lei stessa aveva fatto gustare il Signore, lasciarono un’orma incancellabile nella mente e nel cuore della pia giovinetta. Più contemplava il gran mistero d’amore compiutosi nelle membra del Beato Francesco, e più cresceva in lei il desiderio di volar presto al suo caro monastero di Firenze. 
E il giorno non era lontano: la partenza era già stabilita. 

FONTE: 
Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano