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giovedì 19 ottobre 2017

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - PARTE SECONDA.


IL PATRIARCA DEI CERTOSINI
SAN BRUNO

I PRIMI ANNI DI BRUNO
I sei compagni lo chiamavano << maestro Bruno >>…
Non solo perché era maggiore di essi ed aveva un tempo isegnato a Reims, ma altresì per deferenza, per rispetto. Egli esercitava su di loro un’autorità morale che il suo solo passato non spiegava e che di fatto s’irradiava ad ogni istante da tutta la sua persona. Se essi eran venuti fino al Deserto di Certosa, se si slanciavano in quella audace impresa, era perché egli li aveva guidati, tratti al suo seguito, perché aveva chiarito per ognuno di essi la chiamata di Dio ed ispirava loro fiducia. Tanta bontà, tanto equilibrio, tal desiderio di cercar Dio con un amore assoluto e totale li avevano conquisi, li conquidevano ancora. Da lui poi era stato fatto ed attuato il progetto. Chi era, dunque, quest’uomo da esercitare sui suoi compagni un tale influsso?
Delle sue origini non si sa quasi nulla. Solo tre fatti sono certi. Nacque a Colonia - era pertanto di stirpe germanica - ed i suoi genitori non erano senza nobiltà od almeno senza una certa notorietà nella città. Verso la metà del XVI secolo si affermò che apparteneva alla famiglia von Hartenfaust, si giunse perfino a precisare che discendeva dalla << gens Aemilia >>; ma l’affermazione sembra gratuita: a stento poggia su una tradizione orale che trasmettevasi a Colonia. In una Carta, la cui autenticità è sfortunatamente contestata ( Carta del 2 Agosto 1099 ), Bruno viene presentato nell’atto di rifiutare un’importante donazione di Ruggero, conte di Sicilia e Calabria.
<< Egli rifiutò, dichiara il testo, dicendomi di aver abbandonato la casa paterna e la mia, in cui aveva occupato uno dei primi posti, al fine di poter, libero dalle cose di questo mondo, servire il suo Dio >>. Sovente i documenti apocrifi camuffano la loro non autenticità sotto particolari veri: sarebbe questo il caso?
Quando nacque Bruno? Non lo sappiamo, ma stando alla data - certa - della sua morte ( 6 Ottobre 1101 ) ed agli avvenimenti della sua vita della sua vita possiamo supporre, senza  gran rischio di errare, ch’egli nacque tra il 1024 ed il 1031; il che meglio s’armonizza con i fatti che contrassegnarono la vita di lui.
A Colonia stessa Bruno visse i suoi primi anni; e di tale periodo non ci è pervenuto alcun documento. Colonia! L’antica Colonia Claudia Ara Agrippinensis, che i Romani avevano creato tra il Reno e la Mosa, dal tempo di Ottone il Grande era indipendente dall’organizzazione comitale: Ottone aveva fatto ascendere al seggio arcivescovile il proprio fratello Bruno ( 953-965 ) e gli aveva trasmesso la suprema giustizia ed i diritti comitali per lui e gli arcivescovi, suoi successori. Quando nacque Bruno ( futuro fondatore della Certosa ) l’arcivescovo di Colonia chiamavasi Piligrim; nel 1028 egli incoronò Enrico III in Axi-la-Chapelle ed acquisì in tal modo per gli arcivescovi di colonia il diritto di incoronare l’Imperatore. Tra la storia di Colonia e quella di Reims al tempo di Bruno v’è una coincidenza che forse non è senza interesse far notare: verso lo stesso tempo in cui l’arcivescovo Manasse con la sua elezione simoniaca ed il proprio comportamento provocava a Reims i gravi disordini nei quali Bruno si trovo tragicamente impigliato, la Chiesa di Colonia versava in un’analoga condizione: l’arcivescovo Ildulfo ( 1076-1078 ) si affiancava all’imperatore di Germania Enrico IV contro il Papa Gregorio VII nella lotta delle Investiture; ed i successori di Idulfo, Sigewin ( 1078-1089 ) e Herimann III ( 1089-1099 ) continuarono la sua politica. Orbene, è poco verosimile che almeno nell’intervallo di tempo tra il 1072 ed il 1082 Bruno non abbia mantenuto relazioni con i suoi di Colonia; sarebbe stato quindi informato di ciò che avveniva nella sua città natale… Se tale ipotesi è ammissibile, la grande prova di coscienza che lo indusse a lasciar Reims ed a contrapporsi all’arcivescovo Manasse gli venuta dalle due Chiese a lui più care.
Ma ritorniamo ai primi anni di Bruno. L’arcivescovo Bruno I col suo genio organizzatore aveva fatto di Colonia non solo la prima città della Germania, ma atresì una città d’importanza mondiale. Codesto statista era al tempo stesso assai portato alle cose spirituale; favorì l’eremitismo ed il monachesimo, edificò chiese e fondò Capitoli di canonici, sicché la città venne chiamata << Santa Colonia >> o << Roma germanica >>. Quando Bruno, il futuro Certosino, era bambino, Colonia viveva ancora di detto incremento religioso datole dall’arcivescovo Bruno I: essa non contava meno di 9 collegiate, 4 abbazie, 19 chiese parrocchiali. In quel tempo solo i monasteri e le chiese avevano scuole in cui i giovani potessero avviarsi allo studio delle lettere. A quale di tali scuole Bruno venne affidato? Probabilmente non si saprà mai con certezza. Ma poiché un giorno fu nominato canonico della collegiata di San Cuniberto, legittimamente si può dedurne che con detta collegiata avesse avuto un particolare legame: e tale legame non sarebbe forse stato d’ordine familiare - oggidì diremo parocchiale - e, per conseguenza, scolastico?
Un fatto, per altro, sembra incontestabile: fin dai primi studi Bruno manifestò doni intellettuali abbastanza rari dato che ancora giovane - tenerum alumnum, diranno più tardi i canonici di Reims - da Colonia fu inviato alla celebre scuola della cattedrale di Reims. Lì vivrà ormai: i suoi soggiorni a Parigi, a Tourus od a Chartres sono creazioni della leggenda. Reims contrassegnerà veramente Bruno a tal punto che, trascurando le sue origini germaniche, più in là lo si soprannominerà << Bruno Gallicus >>, Bruno il Francese.
Le scuole remesi, e soprattutto quella della cattedrale che Bruno frequentò, da più secoli godevano gran fama. Gerberto, che un giorno sarebbe Papa Silvestro II, ne era stato rettore dal 970 al 990 circa, e dal suo genio erano state come illuminate. Verso la metà dell’XI secolo l’arcivescovo Guido di Chastillon diede agli studi un nuovo impulso. Quando Bruno andò a studiarvi, le scuole remesi erano giunte ad un certo qual apogeo: gli allievi affluivano dalla Germania, dall’Italia, da tutta l’Europa. Tra quella gioventù la personalità di Bruno s’impose all’attenzione dei suoi maestri. In quel tempo il sapere era enciclopedico, e le scienze profane servivano, per così dire, di preambolo alla teologia. Dopo aver appreso la grammatica, la retorica e la filosofia, - vale a dire dopo essere passato per il trivium - lo studente dedicavasi all’aritmetica , musica, geometria e astronomia, che costituivano il quadrivium. Allora solamente ci si applicava allo studio della teologia, considerata come il coronamento di tutto il sapere umano. Ma se un medesimo maestro, come sovente avveniva, doveva percorrere con gli stessi alunni l’intero corso degli studi, - fu questo segnatamente il caso di Gerberto, che eccelleva nelle matematiche come nelle lettere e la teologia, - gli era consentito di prendersi una certa libertà nella ripartizione delle discipline. Il metodo d’insegnamento era la lectio, la lettura commentata di autori antichi che facevano autorità in materia. La teologia stessa seguiva detto metodo: esso consisteva principalmente nella lettura della Bibbia che il maestro commentava poggiandosi sui Padri della Chiesa.
Tali furono gli studi di Bruno. In quel tempo l’<< écolàtre >> di Reims chiamavasi Hermann o Hermann. Non era dotato della vastità di genio d’un Geberto, aveva almeno fama di teologo di gran merito.
Si presta fede ai Titoli Funebri, Bruno si distinse in filosofia e teologia. Ma le lettere che abbiamo conservato di lui provano che non ignorava nulla della retorica… La cronaca Magister d’altronde dichiara che: << Bruno… fu bene istruito tanto nelle belle lettere, quanto nelle scienze divine >>. A tale periodo di studi risale, se si presta fede ad una tradizione che sembra fondata, una breve elegia Sul Disprezzo del Mondo, che per la prima volta ci manifesterebbe di lui, un’assai preziosa tendenza degna di nota. Detto componimento è scritto in eleganti e sobri distici, ben ritmati; esso è sul tipo di esercizi poetici che allora si facevano nelle scuole umanistiche. Ma qui ci interessa il pensiero più che la forma. 
Ecco l’elegia:
<< Il Signore ha creato tutti i mortali nella luce,
Affinchè mediante i loro meriti conseguivano le
                                   ( supreme gioie del Cielo.
Felice di certo colui che incessantemente tiene la
                                            ( mente rivolta lassù,
e, vigilante, si guarda da ogni male!
Ma felice altresì che si pente dal peccato commesso,
E chi sovente suol piangere la propria colpa.
Purtroppo gli uomini vivono come se la morte non
                                                     ( seguisse la vita,
e come se l’inferno fosse una favola vana.
Mentre l’esperienza insegna che ogni vita si dissolve,
                                                               ( con la morte,
e la divina Scrittura attesta le pene dell’Erebo!
Vive del tutto infelice e da insensato chi tali pene
                                                             ( non teme;
morto, ne patirà l’ardente rogo.
I mortali tutti cercano pertanto di vivere
sì da non temere la palude dell’inferno >>.

Essendo Bruno quasi ventenne ed ancora studente alla scuola della cattedrale accade un avvenimento che dovette avere una profonda ripercussione sulla sua sensibilità religiosa: il Papa Leone IX si recò a Reims e vi convocò un Concilio. ( Notiamo il passaggio che lo stesso anno Leone IX visitò Colonia ). Il 30 settembre 1049 il Vicario di Cristo giungeva a Reims. Il primo ottobre fece la traslazione delle reliquie di San Remigio, che durante le incursioni normanne Hincmar aveva fatto trasportare a Epernay e che venivano così riportate alla celebre abbazia remese omonima del santo; il dì seguente Sua Santità consacrava la nuova chiesa della stessa abbazia di San Remigio. Quale devozione ebbe per lui Bruno! Lo sappiamo per puro caso dalla lettera a Rodolfo Le Verd: quando scrisse tale lettera Bruno trovavasi in Calabria ed era al termine dei suoi giorni; egli aveva lasciato la Francia e l’eremo di Certosa da una decina di anni. << Ti prego, così termina la lettera all’amico, di farmi recapitare la Vita di San Remigio, dato che le nostre parti e impossibile trovarla >>.
Appena terminate le feste di San Remigio, il 3 ottobre Leone IX aprì il Concilio. Numerosi arcivescovi, vescovi ed abati vi partecipavano; in esso si trattò soprattutto della simonia che in quel tempo insidiava la Chiesa e che con urgenza occorreva estirpare. Ci comparirono in giudizio parecchi vescovi che, rei convinti di aver acquistato il vescovato, dal Papa e dal Concilio vennero deposti e scomunicati. Quindi furono prese risoluzioni disciplinari per arginare il male… Bruno assistè alle predette feste ed ebbe conoscenza dei provvedimenti e delle risoluzioni conciliari, alle quali la presenza del Vicario di Cristo conferiva una straordinaria autorità e solennità.
Così all’alba della sua vita d’azione i grandi problemi della Chiesa erano posti dinnanzi alla coscienza di Bruno. Profondamente religioso e retto, nutrito della Parola di Dio e convinto dei grandi principi della fede, era indotto a riflettere sulla condizione della Chiesa, sulle necessarie riforme, e sulle orientazioni che bisognava ch’egli disse alla propria vita perché giungesse alla sua pienezza di valore e di fedeltà. In quel momento sembravagli che il Signore lo facesse propendere verso gli studi sacri lì, a Reims.
Nulla ci autorizza a pensare che fin d’allora egli vagheggiasse l’eremo. Al contrario partecipa da presso alla vita della diocesi, dedicandosi al tempo stesso al sacro insegnamento. Egli non sospettava che per una trentina d’anni gli avvenimenti lo avrebbero fatto entrare in una crisi drammatica in cui quanto aveva veduto compiere da Leone IX e dal Concilio gli sarebbe stato di luce ed avrebbe orientato le sue opzioni.

Andrè Ravier 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano



giovedì 5 ottobre 2017

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI - SAN BRUNO. PARTE PRIMA



IL PATRIARCA DEI CERTOSINI
SAN BRUNO


UNA MATTINA DI GIUGNO DEL 1084...
Una mattina di Giugno del 1084, in prossimità della festa di San Giovanni Battista, un piccolo drappello di viandanti dal viso grave, poveramente vestiti, lasciava la residenza episcopale di Grenoble sotto la guida del giovane vescovo Ugo; essi si diressero verso il Nord prendendo la strada del Sappey. Oltrepassate le ultime case del villaggio, penetrarono nell’immensa foresta, valicarono il colle di Palaquit e giunsero al colle di Portes, a 1.325 metri di altitudine. Dal colle ridiscesero verso il villaggio di Saint-Pierre-de-Chartreuse per una vita che già fiancheggiava press’a poco il tracciato della strada odierna; ma un po’ prima di Saint-Pierre piegarono a sinistra e s’inoltrarono nella valle del Guiers-Mort.
Detta valle, molto stretta, andava ancor restrigendosi a poco a poco fino a chiudersi tra due rupi scoscese: solo il torrente ed il sentiero si aprivano un varco verso l’Ovest. 
Codesta << porta >>, che allora chiamavasi la Cluse, era il solo passaggio ordinario per chi veniva dal Sud. Un po’ più lungi, a destra, estendevasi per quasi 5 chilometri in direzione Nord - Nord-Est una valle bislunga, detta il Dèsert de Chartreuse, il cui punto più basso trovasi a 780 metri di altitudine ed il più elevato a 1.150 metri. Valle praticamente chiusa da ogni parte, su cui strapiomba un caos di montagne che si elevano, col Grand Som, oltre i 2.000 metri: per penetrarvi, oltre alla porta di la Cluse, v’era solo un altro accesso, sito a Nord-Ovest, il Colle di la Ruchère ( 1.418 metri ) - ma il villaggio di la Ruchère non era accessibile che attraverso il pericoloso valico del Frou - e due malagevoli sentieri, lunghi, difficili ed assai rischiosi, di cui uno veniva da Saint-Laurent-du Desert ad Ovest ( oggidì Saint-Laurent-du-Pont ), e l’altro da Saint-Pierre-d’Entremont a Nord, traversava la foresta di les Eparres, popolate di bestie selvagge, e valicava il Colle di Bovinant a 1.646 metri. In codesto deserto i nostri viandanti arditamente s’addentrarono per la porta di la Cluse; e poiché in detto luogo selvaggio cercavano il punto più selvaggio, risalirono fino alla sua punta estrema a Nord, là dove il deserto termina in una gola stretta tra montagne sì alte che il sole per la maggior parte dell’anno vi penetra appena: ancor oggi gli alberi tra i dirupi delle rocce vi si protendono verso il cielo in fusti fantastici, per raggiungere, almeno mediante la chioma, l’aria aperta la luce, il calore. Allora il piccolo drappello s’arrestò: si era arrivati. Il vescovo Ugo assicurò i compagni che lì precisamente dovevano costruire le loro capanne ed attuare l’ideale eremitico abbracciato. Accomiatatosi quindi da essi, ridiscese verso Grenoble con la sua scorta personale.
Rimanevano nel Dèsert sette uomini: maestro Bruno, già cancelliere e canonico della Chiesa di Reims, maestro Landuino di Lucca, teologo rinomato, Stefano di Bourg e Stefano di Die, ambedue canonici di San Rufo, Ugo, << che chiamavano “ il cappellano ”, perché solo tra essi adempiva le funzioni sacerdotali >>, ed inoltre due laici Andrea e Guerrino, che avrebbero adempito l’ufficio di Conversi. Questi sette uomini si erano risolti a condurre insieme vita eremitica e da un po’ di tempo cercavano un luogo adatto per mettere in atto il loro progetto. Bruno, mosso dallo Spirito Santo e sapendo con sicurezza quanto propizie alla solitudine fossero le foreste del Delfinato, era venuto a chiedere asilo e consiglio ad Ugo, Vescovo di Grenoble. E questi, per ispirazione avuta in un sogno meraviglioso, aveva scelto per lui e i suoi compagni il Dèsert di Chartreuse.
Secondo l’umana sapienza tale scelta era una follia. Tutto sconsigliava di porre un agglomerato umano permanente nel Deserto di Certosa, e specialmente nella estremità settentrionale di esso: il clima rigido, dalle assai abbondanti cadute di neve, il suolo molto povero, che avrebbe richiesto non poco lavoro per produrre a stento il necessario  al sostentamento degli abitatori, l’asprezza dei rilievi montani che rendeva difficile la silvicoltura, l’inaccessibilità del luogo per gran parte dell’anno, che in caso di necessità o d’incendio o di epidemia praticamente toglieva ogni speranza di pronto soccorso… La fondatezza di detti timori sarà difatti più volte confermata: il sabato 30 gennaio 1132 un’enorme valanga inghiottirà tutte le celle, salvo una, e sei eremiti ed un novizio vi periranno; bisognerà allora ritirarsi a due chilometri a Sud della punte del Deserto fino all’odierno sito della Gran Certosa.
Bruno ha ormai superato la cinquantina… E più d’uno dei suoi compagni, specialmente Laudino, han varcato le soglie della giovinezza.
Quale segreto desiderio li spinge ad affrontare quella solitudine, di cui Guio nelle sue costumanze due volte ricorderà l’austerità? Qual ritrovamento - e di quale perla preziosa - può farsi col dimorare << a lungo tra tanta neve e l’orrore di sì grandi freddi >>?.
Mistero della chiamata, che Dio fa udire a certe anime, alla vita di pura contemplazione e d’amore assoluto. Mistero di quelle vite nascoste, umanamente annientate con Cristo esinanito. Mistero della preghiera di Cristo nel deserto, durante le notti della vita pubblica e nel Getsemani; della preghiera di Cristo che ad ogni tappa della storia della Chiesa prolungasi in alcune anime privilegiate. Mistero di solitudine e di presenza al mondo, di silenzio e di irradiamento evangelico, di semplicità e di gloria di Dio.
Detto mistero cercheremo di cogliere nell’anima di Bruno...

Andrè Ravier.


LAUS  DEO

Pax et Bonum

Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano